Fantasie Mitiche e Archetipiche in C.G.Jung

Parte Prima
1.1 Jung e la scoperta delle Fantasie Mitiche
1.2 Fantasie Mitiche e loro origine
2.1 L’importanza delle Fantasie Mitiche
Parte Seconda 1.1 Fantasie e Simbolo
1.2 Autonomia e Numinosità delle Immagini Simboliche delle Fantasie Mitiche
2.1 Pericolosità delle immagini Simboliche delle Fantasie Mitiche


Parte Prima

1.1 Jung e la scoperta delle Fantasie Mitiche

Jung scoprì l’esistenza delle Fantasie Mitiche attraverso tre diversi percorsi: I) l’esperienza di medico psichiatra II) l’esperienza di studioso dei miti e delle religioni III) alcune riflessioni su un ricordo dell’infanzia
I) L'esperienza di medico psichiatra

J. dedicò anni di studio alle fantasie dei suoi pazienti psichiatrici sia nevrotici che psicotici e giunse alla conclusione che non era possibile “ricondurre tutte le fantasie di un malato di mente a esperienze e impressioni individuali. Senza dubbio gran parte di tale materiale si lascia ricondurre alla storia personale dell’individuo, ma esistono nuclei di fantasia di cui è inutile cercare la radice nella preistoria individuale... Si tratta di fantasie mitologiche, di nessi immaginativi che non corrispondono a esperienze della vita personale”(1). Facciamo un esempio: una giovane paziente racconta di aver sognato un eroe leggendario metà cavallo e metà drago. Naturalmente, non ha mai incontrato un animale del genere; forse ha visto un disegno da piccola o le è stata raccontata, a suo tempo, una fiaba. In ogni modo, anche risalendo all’autore di una tale immagine, non se ne troverebbe egualmente traccia nella sua vita quotidiana. (vedi allegato 1)
II) L'esperienza di studioso dei miti e delle religioni
j. studiò in modo approfondito miti e religioni d’oriente e occidente e ossercò: “la somiglianza dei simboli e dei motivi mitici presenti in ogni parte del mondo”(2). Questa considerazione, ormai nota a tutti gli esperti del settore, non si può spiegare solo con contatti e scambi culturali da un luogo all’altro. Ad esempio l’universo è stato rappresentato come albero cosmico sia in India che in Scandinavia come in Polinesia, e in epoche così lontane da poter escludere contatti diretti tra una parte e l’altra. L’unica spiegazione possibile è che l’uomo possiede la capacità di sviluppare fantasie simili in ogni parte del globo, indipendentemente dalle proprie esperienze personali.
III) Alcune riflessioni su un ricordo dell'infanzia
j. scrive “quando avevo dieci anni, l’intima scissione e l’atteggiamento di incertezza verso il mondo mi indussero, alla fine, a fare qualcosa che allora rimase per me incomprensibile”. (3) Il bambino Carl Gustav J. ritagliò un piccolo manichino, lo dipinse di nero e lo depose in un astuccio e vi aggiunse un ciottolo del Reno, oblungo e levigato, che nelle sue fantasie considerò proprietà del manichino stesso. Dipinse la pietra con l’acquarello in modo che fosse divisa in una parte superiore e in una inferiore. Poi nascose l’astuccio in soffitta e aggiunse al tutto, in più occasioni, “un piccolo rotolino di carta sul quale... avevo scritto qualcosa in un alfabeto segreto di mia invenzione. Erano striscioline di carta... affidate all’omino perché le custodisse; l’aggiunta di un nuovo rotolino aveva sempre il carattere di una cerimonia solenne... le mie lettere dovevano rappresentare la sua biblioteca e immagino... che si trattasse di massime”(3). E aggiunse: “in tutti i momenti difficili, ogni volta che avevo commesso uno sbaglio, o i miei sentimenti erano stati feriti, o ero oppresso dall’irritabilità di mio padre o dagli acciacchi di mia madre, pensavo al mio manichino... Non mi preoccupai mai di cercare un significato o di spiegarmi il perché di ciò che facevo; mi appagavo del sentimento di riconquistata sicurezza”(3). Racconta come poi questo episodio del manichino si perse nelle nebbie dell’infanzia. Ma 25 anni dopo, all’età di 35 anni, J. venne a conoscenza delle Pietre Anima di Arlesheim e dei Churinga australiani; si trattava di pietre oblunghe, dipinte in una parte superiore e in una inferiore e associate a un piccolo Dio “coperto da un mantello... un telesforo come quello che sta, in atto di leggere un rotolo, sui monumenti di Asclepio... In definitiva il manichino era un Kabir, avvolto nel suo piccolo mantello, nascosto nella Kista, e fornito di una riserva di energia vitale, l’oblunga pietra nera”(3). In una nota precisa che i Kabir erano divinità naturali legate, in specie, al culto della dea Demetra. In un lampo J. ricordò il suo manichino e il suo astuccio dell’infanzia e rimase profondamente impressionato dall’incredibile somiglianza con i culti di cui era venuto a conoscenza: “assieme a questo ricordo si presentò allora per la prima volta al mio pensiero l’idea che vi sono componenti psichiche arcaiche entrate a far parte della psiche individuale senza una diretta derivazione della tradizione. La biblioteca di mio padre... non conteneva un solo libro che potesse avermi dato una notizia del genere; inoltre mio padre non era certamente al corrente di tali cose”(3). Così J. rafforzò il suo convincimento circa la scoperta di fantasie che non avevano un’origine personale e contingente. Poi chiamò queste fantasie mitiche e /o archetipiche.

1.2 Fantasie Mitiche e loro origine
Dopo la scoperta delle fantasie mitiche, J si interrogò sulla loro origine. Il fatto che questi "simboli e motivi tipici" (2) si erano manifestati in continenti e razze diversi, per generazioni e generazioni, e nell'arco di millenni, portò J a supporre una loro origine cerebrale su base ereditaria: "da dove provengono dunque queste fantasie mitologiche se non scaturiscono dall'inconscio personale, ossia dall' esperienza della vita individuale? Senza dubbio esse provengono dal cervello: più precisamente non da tracce mnestiche personali, ma dalla struttura ereditaria del cervello"(1). Così J. riconobbe nella struttura cerebrale non solo funzioni di carattere ncurologico e psicologico, ma una capacità di generare fantasie del tutto peculiari. Mentre la psicoanalisi sosteneva che le fantasie fossero una manifestazione psicologica dell'inconscio personale del paziente e si originavano dalla sua esperienza individuale, contingente e soggettiva, J. scoperse un altro tipo di fantasie. Esse costituivano l' espressione psicologica di strutture cerebrali trasmesse ereditariamente. Le chiamò fantasie archetipiche o mitiche. Le fantasie archetipiche non trovano la loro radice nel contingente storico del soggetto in cui si esprimono, ma scaturiscono da una dimensione sovrastorica. che allude a quell' illud tempus, inteso come quel linlite che la storia inevitabilmente presuppone e che Eliade ha chiamato con una feliceespressione "il tempo delle origini". J. si preoccupò di dare a questa struttura ereditaria cerebrale un"corrispondentè' psichico e la chiamò “inconscio collettivo o sovrapersonalè”.

2.1 Importanza delle Fantasie Mitiche

J. conosceva il contributo della psicoanalisi freudiana a proposito delle fantasie dell'inconscio personale e dei sogni a occhi aperti. Freud aveva studiato le fantasie nell' isteria. nell' adolescenza e, attraverso la sua autoanalisi, nell'infanzia; aveva scoperto le fantasie incestuose (riguardanti sentimenti di odio verso il padre e di desiderio sessuale verso la madre). Si era anche occupato delle fantasie dei poeti e degli artisti. Giunse alla conclusione che i desideri inappagati presiedevano alla formazione di fantasie sia nci sani che nei malati: - "sono desideri insoddisfatti le forze motrici delle fantasie. e ogni singola fantasia è un appagamento di desiderio, una correzione della realtà che ci lascia insoddisfatti" - "sono desideri ambiziosi, che servono ad elevare la personalità, o sono desideri mitici"(4). Ma quale era il senso delle fantasie archetipiche dell'inconscio collettivo? Innanzitutto J. precisò che non erano le rappresentazioni (o immagini) delle fantasie archetipiche a essere trasmesse creditariamente. Pensare, ad cs. che lo spermatozoo o l'ovulo potessero conservare e veicolare l'immagine del drago o dell'ippocampo era privo di fondamento. Egli riteneva che a trasmettersi ereditariamente erano delle possibilità di rappresentazione ricorrenti in ciascun essere umano: "non si deve pensare che le fantasie mitologiche siano rappresentazioni ereditarie. Non si tratta di questo. ma di possibilità rappresentative innate. condizioni a priori dell'immaginazione fantastica, paragonabili, ad es, alle categorie kantiane. Tali condizioni innate non favoriscono i contenuti, ma modellano i contenuti"(2). Ciò spiegava la somiglianza dei simboli e dei nwtivi mitici presenti in ogni parte del mondo"(2). J. aveva un'ottica privilegiata: quella dello psichiatra e psicologo analista e quella di studioso dei miti e delle religioni. Egli si convinse che i motivi, le vicende e i personaggi dei miti erano alimentati dalle fantasie archetipiche. Così i miti gli si rivelarono una strumento prezioso di conoscenza e indagine dell'inconscio collettivo. Dopo anni di pazienti ricerche e accurate riflessioni. J. si convinse del fatto che l'inconscio collcttivo poteva potenzialmente esprimere,attraverso le fantasie archetipiche, l'infinita gamma delle diverse possibilità insite nella natura umana; così come mostrano, del resto, i miti tramandati attraverso i millenni:“ possiamo vedere praticamente ogni giorno, nei nostri pazienti, quante fantasie mitiche sorgono; sono fantasie non inventate, ma che si presentano in forma di immagini o di serie di rappresentazioni che si affollano provenendo dall'inconscio, e quando vengono raccontate hanno non di rado il carattere di episodi collegati, con valore di rappresentazioni mitiche. E' così che sorgono i miti, ed è per questo che anche le fantasie che nascono dall'inconscio dimostrano un' affinità così stretta con i miti primitivi". (5) E ancora: l'inconscio collettivo "conosce l'uomo come è sempre stato, non come è in questo momento: lo conosce come mito" (1). Fu così possibile per J. intuire qualcosa del senso delle fantasie archetipiche; quando l' uomo è immerso nella sua dimensione storica,contingente e soggettiva, e non riesce a trovare una via di uscita dalle difficoltà e dai problemi che lo attanagliano, può giungere l'aiuto salvifico dell'inconscio collettivo che, attraverso le fantasie archetipiche, trae dalla matrice dell'infinita gamma di possibilità e di immagini che racchiude, quel simbolo, quella soluzione inattesa e imprevedibile tanto preziosa e desiderata. E sempre per questa potenziale ricchezza di immagini che J. attribuì all'inconscio collettivo la fonte ispiratrice della creazione intellettuale, artistica e spirituale dell' uomo creativo: “ questo inconscio (collettivo)... vive nell'uomo creativo, si manifesta nella visione dell'artista.nell'ispirazione del pensatore, nell'esperienza interiore del mistico" (1); “Questo inconscio, che giace sepolto nella struttura del cervello... rivela la sua presenza vivente solo nella fantasia creativa". ( 1 ) Nei suoi scritti J., in verità, si spinse anche oltre la dimensione dello studioso attento e rigoroso e arrivò addirittura a considerare l' inconscio collettivo come: “Uno spirito universale, onnipresente e onnisciente” ( 1), e aggiunse: “la storia che questa struttura ciracconta è la storia dell'umanità, ossia il mito incessante di morte e rinascita e le molteplici figure che popolano questo mistero". ( 1) Ma parlare dell'inconscio collettivo al pari di uno “spirito universale, onnipresente e onniscientè” significa considerarlo quasi come una divinità. Affermazione affascinante e meritevole del massimo rispetto, ma scrivibile solo alle opinioni personali di J., dato che alla scienza medica e psicologica non è possibile affermare ne escludere la natura metafisica delle manifestazioni psichiche, come lo stesso J. sapeva benissimo e sosteneva.

Bibliografia
1) C. G.Jung Opere Vol. 10 torno primo p. 9 Boringhieri
2) lbidem p. 10
3) C. G. Jung Ricordi, Sogni e Riflessione p. 6 Saggistica BUR
4) S. Freud I1 poeta e la fantasia Opere Vol. 5 p. 378 Boringhieri.
5) C. G. Jung Opere Vol. 8 p. 47 Boringhieri

Parte Seconda
1.1 Fantasie e Simbolo
1.2 Autonomia e Numinosità delle Immagini Simboliche delle Fantasie Mitiche
2.1 Pericolosità delle immagini Simboliche delle Fantasie Mitiche


1.1 Fantasie e Simbolo
La medicina distingue tra percezione e rappresentazione. La percezione è l'attività psichica che consente di cogliere la realtà e strutturarla sulla base dei dati dell'esperienza: si tratta di un' oggettivizzazione ” soggettiva “ della realtà fisica. Si articola in un momento neurofisiologico (stimolazione dei recettori degli organi di senso, traduzione in impulsi elettrici e loro invio alle aree corticali attraverso le vie nervose) e in uno psicologico (la sensazione che proviene dalla periferia è confrontata con le memorie pre-esistenti). La rappresentazione consiste invece in una riattivazione di esperienze percettive passate in assenza della stimolazione degli organi di senso. La parola rappresentazione indica sia l'atto che il contenuto dell'operazione. Quando ci si riferisce al contenuto si può ricorrere sia alla parola rappresentazione che alla parola immagine. Ad esempio, se sto guardando un quadro in un museo, ho una percezione. Se dopo alcuni giorni rievoco il ricordo del quadro in sua assenza. questa è una rappresentazione. In medicina si parla anche di: 1) immaginazione, che è l'attività psichica che associa liberamente rappresentazioni propriamente dette e/o idee, tesa alla risoluzione “creativa" di specifici problemi: 2) fantasia, che è l'attività psichica che associa liberamente rappresentazioni propriamente dette e/o rappresentazioni non reali create appositamente. Freud si interrogò sul senso delle interpretazioni oniriche e dei sogni a occhi aperti e giunse alla conclusione che riconoscevano questa causa: le rappresentazioni oniriche pulsionali considerate proibite dal Super Io, perchè contro la morale personale e sociale, in specie di tipo aggressivo e sessuale, sono rimosse dall'inconscio per intervento dello stesso Super-Io e dei meccanismi difensivi dell'lo, e ciò allo scopo di salvaguardare la psiche da conflitti psichici ed emotivi che potrebbero comprometterne l' equilibrio. Questo è invece il fine: durante il sonno, queste pulsioni che hanno a che fare con desideri immorali o inconfessabili, ma anche con altri desideri non realizzabili, si fanno strada nel sogno per un appagamento almeno parziale, allo scopo di salvaguardare l'omeostasi psichica. Ma il Super Io, per non turbare eccessivamente il sognatore al risveglio, controlla questo “ritorno del rimosso”, in modo tale che queste rappresentazioni che permettono un appagamento almeno parziale non siano chiare ed esplicite bensì abilmente mascherate e poco riconoscibili. Questa attività inconscia dell'Io, capace di trasformare le rappresentazioni pulsionali proibite in rappresentazioni oniriche apparentemente bizzarre e confuse, consiste nel “ lavoro onirico". Il lavoro onirico si serve di specifici meccanismi: condensazione, spostamento, formazione sostitutiva, formzione reattiva. formazione di compromesso, figurabilità (= trasformazione di idee in immagini) ed elaborazione secondaria (= è un meccanismo che tende a rendere il sogno un tuttocoerente e comprensibile per celare meglio il contenuto proibito)(1). Queste scoperte aprirono a Freud una nuova affascinante prospettiva: evidentemente le rappresentazioni oniriche non erano paragonabili alle semplici rappresentazioni già note in psichiatria e in medicina e cioè alla riattivazione di esperienze percettive passate o a creazioni per scopi diversi. Bensì erano raffigurazioni di cose che ne contenevano altre, celate e nascoste. Quindi era possibile parlare di un “contenuto manifestò” e di un "contenuto latente” dei sogni, per cui le rappresentazioni oniriche entravano di diritto nel mondo dei Simboli, erano Simboli. Come è stato già accennato, Freud riconobbe nelle fantasie inconsce e nei sogni a occhi aperti le stesse cause e finalità delle rappresentazioni oniriche: "sono desideri insoddisfatti le forze motrici delle fantasie"(Vedi nota (4) di p. 12). Per Freud le fantasie traevano le loro origini dall'inconscio personale e cioè dalle esperienze individuali e soggettive del paziente; la matrice e 1'ambito delle fantasie appartenevano così a una dimensione esistenziale, quotidiana e anche contingente, se pure a volte drammatica o tragica. Nel complesso si trattava di un mondo che era potenzialmente accessibile alle qualità e possibilità scientifiche e umane del terapeuta. I sogni e le fantasie si originavano da eventi, esperienze e desideri che appartenevano al passato del paziente e scopo del terapeuta era dedurre il significato delle rappresentazioni o immagini oniriche e fantastiche a partire dal materiale già noto. Attraverso questo metodo di interpretazione, chiamato analitico-riduttivo, era potenzialmente possibile trovare il significato di ogni rappresentazione (es. vecchia=madre, serpente=pene ecc.). Quando J. divenne consapevole dell'esistenza delle fantasie archetipiche si rese conto immediatamente che le scoperte di Freud sui sogni e le fantasie riguardavano solo l'inconscio personale e non potevano essere estese alle immagini delle fantasie archetipiche. Innanzitutto queste immagini erano l' espressione psicologica di una dimensione sovrastorica dell'uomo. che si trasmetteva di generazione in generazione e da tempi immemorabili. Al contrario delle fantasie e dei sogni dell'inconscio personale, che erano più accessibili alle possibilità scientifiche e umane del terapeuta e più facilmente condivisibili perché avevano a che fare con il suo stesso mondo e la sua stessa realtà, le fantasie archetipiche esprimevano: "l'uomo come è sempre stato, non come è in questo momento(vedi nota (1) p.8), cioè parlavano e raccontavano dell’uomo in tutte le sue innumerevoli potenzialità attraverso i miillenni. Ciò richiedeva al terapeuta particolare cautela e attenzione e "un tentativo di comprendere le motivazioni e le strutture del pensiero da un punto di vista più ampio...” che J. chiamò “ermeneutico"(2). J. descrisse le caratteristiche fondamentali del metodo ermeneutico in questo modo (3): “l'essenza dell'ermeneutica... consiste nell'accostare altre analogie a quelle presentate dal simbolo; in primo luogo analogie soggettive che il paziente riferisce a mano a mano che gli vengono in mente; in secondo luogo analogie obiettive che l’analista attinge dalle sue conoscenze generali. Attraverso questo procedimento il simbolo iniziale viene ampliato e arricchito, finche ne risulta un quadro altamente complesso e poliedrico. Traggono da ciò origine determinate linee psicologiche di sviluppo, di natura individuale e “collettiva”(4). Le “analogie obiettive”, di cui parla J. e che rientrano nelle "conoscenze generali” del terapeuta. richiedono una formazione e un aggiornamento costante che non si limitano alle scienze medico- psichiatrica e psicologica, ma vanno ben oltre, coinvolgendo a pieno titolo lo studio dei miti e delle religioni. J. infatti, dopo anni di scrupolose ricerche, si era convinto che i miti erano alimentati dalle fantasie archetipiche: "è cosi che sorgono i miti". (Vedi nota (5) p.8) Questo metodo di interpretazione che si avvale di "paralleli mitici, storici e culturali al fine di chiarire e ampliare il contenuto metaforico del simbolo onirico" (5) fu chiamato da J. "amplificazione"(6). Un' altra differenza importante tra le fantasie dell'inconscio personale e le fantasie archetipiche è che mentre le prime traggono origine da eventi, esperienze e desideri del passato del paziente, le seconde hanno a che fare col suo presente e futuro. J. aveva constato con meraviglia e in più di un'occasione che quando alcuni pazienti erano alle prese con problemi quotidiani apparentemente irrisolvibili, le immagini simboliche delle fantasie archetipiche provenienti dall' inconscio collettivo, irrompevano creativamente nella dimensione storica, contingente e soggettiva del paziente. suggerendo una soluzione insperata e imprevedibile o generando un processo di trasformazione di cui era possibile cogliere l'inizio, ma intuire solo vagamente l'esito conclusivo, che poteva anche rimanere avvolto in un alone di miistero sia per il paziente che per il terapeuta. Cosi J. riconobbe alle immagini simboliche delle fantasie archetipiche una diversa dignità rispetto a quelle dell' inconscio personale. Per lui l'immagine simbolica archetipica era "la migliore figura possibile di una cosa relativamente poco conosciuta, che non si saprebbe indicare in modo più chiaro e caratteristico"(7). E ancora: "ogni fenomeno psicologico è un simbolo. se si suppone che esso affermi o significhi anche qualcosa di più e di diverso che si sottrae alla nostra coscienza. Questa supposizione è senz' altro possibile ovunque vi sia una coscienza orientata verso ulteriori possibili significati delle cose"(8). Secondo J. Vidal l'immagine simbolica delle fantasie achetipiche "introduce nel contempo il processo di manifestazione e di rivelazione .. rende manifesto perche è concreta, perche è nella storia. Essa indica qualcosa nel processo di una rivelazione in corso, e tale rivelazione non è compiuta, e quindi ciò che essa riivela resta relativamente sconosciuto,essa non può indicare più di quanto faccia. Tuttavia non indica fino in fondo la realtà che simboleggia, poiche questa realtà non è ancora accaduta. Cosi i profeti, nell'antico testamento, illustravano atraverso delle figure la parola di Gesù, ma poichè Gesù non era venuto, tale parola non era completa"(9). L' immagine simbolica archetipica contiene "una eccedenza di senso verso cui orienta il processo ditrasformazione psichica... non esistono contenuti simbolici se non per una coscienza che li instaura" (10).

1.2 Autonomia e Numinosità delle immagini simboliche delle fantasie Mitiche
Riconoscere che l' immagine simbolica archetipica proviene dalla dimensione dell'inconscio collettivo e che può avere un'influenza decisiva sulla realtà storica soggettiva dell'uomo, significa attribuire a questa immagine due qualità fondamentali: 1) il carattere inconscio 2) l'autonomia J. delinea così una nuova concezione dell'inconscio. L' inconscio secondo Freud si origina esclusivamente dalle esperienze individuali e soggettive dei pazienti e comprende : a) un inconscio rimovente : i meccanismi difensivi dell' Io che operano la rimozione b) un inconscio rimosso: lo "spazio psichico" che, come un enorme contenitore, raccoglie le rappresentazioni pulsionali rimosse nell' arco dell'esistenza perche considerate proibite dal Super-Io. J. non nega l'esistenza di questo tipo di inconscio, ma vi "aggiunge" l'inconscio collettivo. L' inconscio collettivo: a) si origina da una struttura cerebrale trasmessa ereditariamente b) è formato da archetipi (11) c) si esprime psicologicamente nelle immagini simboliche delle fantasie archetipiche (=mitiche) d) attraverso queste immagini simboliche può compensare la coscienza orientandola in un momento di difficoltà. E in ciò l'inconscio collettivo rivela una qualità creativa che può persino superare la coscienza e che permea le sue immagini simboliche. In alcune occasioni questa superiorità raggiunge una vetta tale, secondo l'esperienza clinica e personale di J., che, come sintetizza felicemente F. Donfrancesco, "tali immagini sono centri di energia a grande intensità: un' intensità, appunto, oltre umana, e perciò capace di governare il semplicemente umano, di dominarlo per il bene e per il male". In seguito, a sottolineare senza possibilità di equivoci questo carattere essenziale delle immagini primordiali, Jung adotterà un attributo derivato dalla fenomenologia religiosa di Rudolf Otto: numinoso, ovvero denso di "sensus numinis"(12). Per cui 3 sono le caratteristiche fondamentali dell' immagine archetipica: 1) il carattere inconscio 2) l’autonomia 3) la numinosità.

2.1 Pericolosità delle Immagini Simboliche delle Fantasie Mitiche
La coscienza ha a disposizione una determinata intensità di energia psichica; se l'intensità energetica dell'immagine o rappresentazione archetipica è troppo elevata, la coscienza ne può essere arricchita ma anche sconvolta per sempre; oppure transitoriamente occupata e dominata. Come anche l'estraneità di tali immagini può affascinare o confondere la coscienza. Seguiamo un ulteriore commento di F. Donfrancesco sulla numinosità: "questo termine stabilisce una discontinuità fra immagine primordiale ed esperienza egoica, essendo la prima avvertita, quando entra in contatto con la seconda, come estranea ed estraniante: sia che si contrapponga agli orientamenti egoici, apportando disorientamento, scissione, discontinuità della coscienza, sia che li governi, allargandone i confini fino alla loro perdita, inducendo un'emozione esaltante di partecipazione. di appartenenza a una realtà extraumana, più ampia, inclusiva". Sono le due caratteristiche, di intensità ed estraneità, che convengono nel determinare l'autonomia delle immagini priimordiali, ed è per questa autonomia che esse compaiono spontaneamente e arrivano a esercitare una coazione a volte irresistibilè'(13). Per cui la seconda caratteristica delle immagini archetipiche. cioè l'autonomia, è da ricercare in un aspetto quantitativo (l'intensità dell'energia della rappresentazione) e in uno qualitativo (la diversità e l'estraneità della rappresentazione rispetto alle esperienze della coscienza). Ritornando allo “impatto” tra immagini archetipiche e coscienza, sono state indicate tre possibilità: - che la coscienza ne sia arricchita; - che la coscienza ne sia sconvolta per sempre; - che la coscienza ne sia transitoriamente occupata e dominata. Nel primo caso si può fare l'esempio di sogni (o visioni) che hanno apportato a1 soggetto un ampliamento decisivo della coscienza, come anche l' incontro con immagini archetipiche espresse da miti, simboli religiosi e opere letterarie o nrtistiche. Lo stesso Jung è un esempio tipico: basti pensare al suo celebre sogno detto di Liverpool, al fascino e all'interesse che suscitarono su di lui il Faust di Goethe, così parlò Zarathustra di Nietzsche, i simboli del Cristianesimo, ì Mandata, il Libro di Giobbe ecc.(14) Il secondo caso, di non raro riscontro in psichiatria, una improvvisa o progressiva frammentazione psicotica dell'Io, attraverso l'incalzare di deliri persecutori con allucinazioni complesse visive e uditive che conducono a una schizofrenia paranoide, dove voci e visioni invadono a tal punto la coscienza, da incrinarla e spazzarla via. Il terzo caso consiste in quello che Jung ha chiamato “inflazione” e cioè si ha un'identificazione con la psiche collettiva "causata da un'invasione di contenuti archetipici inconsci o come risultato di un' espansione della coscienza. Si caratterizza per il disorientamento accompagnato o da un sentimento di immenso potere e unicità,o viceversa, da un senso di indegnità irrilevante. Nel primo caso si ha uno stato maniacale, nel secondo una depressione" (15) J. usò anche la parola "possessione" per indicare quando un contenuto archetipico si è appropriato della personalità dell'Io, ovvero ne ha assunto la direzione, l'ha occupato(16).