Intervista sulla Concezione Biblica dell'Uomo

Intervista sulla Concezione Biblica dell'Uomo a Padre Bruno Pennacchini Docente di Esegesi all’Istituto Teologico di Assisi

DOMANDA N° 1

Attualmente non pochi tra adolescenti e giovani, ed anche adulti, sono alla ricerca di una nuova dimensione spirituale; vi è un interesse crescente verso filosofie e religioni orientali, il buddismo, lo yoga, l'induismo, medicine e terapie alternative, tecniche di meditazione, la credenza diffusa dell'inizio di una nuova era, che anima movimenti che si definiscono spirituali e che sono genericamente indicati come appartenenti alla cosidetta New Age. Eppure pochi sono coloro che rivolgono la loro attenzione alla Bibbia, che si interrogano sulla visione dell'essere umano che emerge dalle Sacre Scritture. Ecco, a grandi linee, cosa è l'uomo per la Bibbia, quale la sua essenza e il senso della sua esistenza e della sua presenza nel cosmo?

RISPOSTA ALLA DOMANDA N°1
E’ singolare che uomini occidentali interroghino il mondo orientale attorno all’uomo e ai suoi problemi, pur possedendo un patrimonio culturale millenario; mondo che non possono capire e che non li capisce. Sarebbe altrettanto singolare che degli orientali interrogassero l’occidente sugli stessi temi. Il mondo orientale è indubbiamente molto ricco sul versante spirituale, per alcuni versi forse più di quello occidentale ; ma esso esprime questa sua ricchezza nei termini della cultura che gli è propria. E non potrebbe essere altrimenti. Dov’è dunque il problema ? E’ nel fatto che ogni cultura percepisce i propri bisogni spirituali profondi e ne formula le domande secondo una sua propria sensibilità e proprie categorie mentali. E anche le risposte saranno sulla stessa linea di espressione. Un orientale farà dunque domande nel contesto della propria cultura ed un occidentale nel contesto della propria. La conseguenza diretta è che i due non si capiranno, perché ciascuno parla un linguaggio che l’altro non conosce. Può nascere una sorta di dialogo fra sordi, in cui ognuno crederà di capire l’altro. O fingerà di crederlo. Il vero rischio è quello di entrare in un equivoco gigantesco. Che ci sia proprio questo equivoco alla base delle varie espressioni del New Age ? Alla radice delle culture occidentali stanno il mondo della Bibbia e quello greco-romano. L’incontro fra quei due mondi ha generato l’albero di cui ciascuno di noi è culturalmente il frutto. Può darsi che oggi siano maturi i tempi per innestare rami di altre piante, allo scopo di ottenere frutti ricchi di altri sapori, profumi, sfumature. Ma questo non può prescindere dalla fatica di una lunga e paziente mediazione. Tutti sanno del resto che gli innesti e le ibridazioni richiedono tempo, esperienza e la consapevolezza di poter fallire. Il dilettantismo in questa operazione non ha dato a tutt’oggi risultati culturalmente accettabili. La Bibbia conosce certamente risposte alla domanda fondamentale : L’uomo, chi è ? Potremmo dire che, in un certo di senso, essa è tessuta come una grande molteplice risposta a questa unica domanda fondamentale. Lungo le pagine di questa opera, vera collana di libri composti nell'arco di oltre un millennio, non è difficile indovinare sempre qualcuno che sta indagando sulla realtà dell’uomo; su questo vivente capace di relazionarsi ; sulla sua vicenda storica, sulla sua origine e i suoi destini, sui suoi problemi e le sue sconfitte, sul suo rapporto con la trascendenza. Il linguaggio con cui gli autori biblici esprimono tutto questo è incredibilmente vario, sempre molto concreto, sperimentale, storico, legato all’immaginario, raramente sistematico. Rimane deluso chi ricerca quel linguaggio che è figlio della logica formale. Capita di imbattersi in affermazioni come questa: un baratro è l’uomo e il suo cuore un abisso (Libro dei Salmi), che ha sapore molto moderno, e vagamente "psicoanalitico". Ma poi se ne incontrano altre dalle risonanze arcaiche e di sapore mitico: Dio plasmò l’uomo dalla polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un soffio vitale.(Genesi ). Poi trovi anche autori che si pongono domande "esistenzialiste": Chi mai potrà dire all’uomo che cosa sia buono per lui nei brevi e tristi giorni che egli trascorre come un’ombra sotto il sole ?(Ecclesiale). Ma ti puoi anche imbattere in un autore che si stupisce e si esalta di fronte alla grandezza dell’intelligenza dell’uomo: Lo hai fatto poco meno degli angeli ; di gloria e di onore lo hai coronato (Libro dei Salmi). Tuttavia in questa varietà impressionante è possibile rintracciare alcune linee portanti che permettono di sintetizzare una visione dell’uomo, del senso della sua presenza nel cosmo. Secondo la visione biblica, l’uomo è un unicum a tre dimensioni, che il testo originale ebraico chiama basar, nephesh, ruach. Approssimativamente possiamo tradurre corpo, psiche, spirito. Basar fa riferimento, più o meno, a quella che noi consideriamo sfera corporea. Nephesh fa riferimento a quella che noi consideriamo sfera vitale. Ruach è l’elemento spirituale che lega l’esistenza dell’uomo alla trascendenza; se Dio ritira il suo ruach(=soffio) l’uomo muore. Va sottolineata la visione unitaria dell’uomo, profondamente differente da quella dicotomica (= anima e corpo) propria dei greci. Le tre dimensioni del compositum non possono sussistere separatamente. Esse sussistono solo perché stanno insieme. La presenza della ruach nell’uomo fa sì che esso, nel suo esistere, sia necessariamente ancorato alla trascendenza. L’uomo per sua natura gode di una dimensione verticale che lo lega necessariamente a Dio. L’uomo è un essere creato. L’aggettivo creato contiene una pluralità di significati: A) chiamato all’esistenza nel contesto del mondo, delle cose, degli altri, secondo un progetto che poi gli è stato affidato; B) tratto dal Chaos, ossia dall’indifferenziato, dall’informe, dal non senso ; C) strutturato come vivente sessuato "Ad immagine di Dio lo creò ; maschio e femmina li creò" (Genesi 1.27) ; il testo intende dire che l’uomo totale si compone dei due sessi : il solo maschio o la sola femmina non è ancora l’uomo ; e che proprio in quanto sessuato è immagine del creatore. Questo carattere primordiale è alla base di tutte le dinamiche sessuali: attrazione/repulsione, conflitto/abbraccio. Questo è anche alla base della pari dignità dei sessi, pur nella naturale distinzione dei ruoli: D) frutto di un progetto e di una decisione del creatore, ma anche egli essere progettuale, destinato ad una pienezza di vita, chiamato alla felicità; E) tuttavia egli non è illimitato, né autosufficiente, ma fallibile, eppure responsabile di sé, degli altri, del creato. Secondo la narrazione biblica, l’uomo rifiuta fin dall’inizio subalternità al creatore, e tenta prometeicamente di conquistare una sua autosufficienza. Da qui ha origine la tragica esperienza del divario/scarto fra ciò che egli è chiamato ad essere e ciò che riesce ad essere. Questa situazione, entrando in conflitto con il progetto primordiale, genera in lui insoddisfazione, delusione, frustrazione, rifiuto (Qoehelet 1,4-9). A causa di questo l’uomo sperimenta di essere preda dell’incomunicabilità, della paura, dell’angoscia, della solitudine. All’interno di questo divario/scarto l’uomo si sperimenta contraddittorio e fortemente condizionato nella sua libertà da una serie di fattori di ordine fisico, psichico, sociologico, al punto di vedere drasticamente ridimensionate le proprie possibilità decisionali (Lettera ai Romani 7,14 ss.). L’uomo storico è dunque il luogo dell’ambiguità ; amalgama contraddittorio di luce di tenebre ; chiamato al positivo e attratto dal negativo ; proiettato verso il futuro e frenato dall’attimo presente ; capace di gesti di grande solidarietà e di mostruosi egoismi.

DOMANDA N° 2
La psichiatria e la psicoanalisi hanno preferito abbandonare la parola " anima ", e ciò per via delle sue implicazioni filosofiche e metafisiche. Al suo posto è stato proposto il termine di " psiche ", considerato scientificamente più attendibile. Inoltre, la psiche è stata a sua volta articolata in due strutture, la coscienza e l'inconscio. Questa rappresentazione della psiche che emerge dalla psichiatria e dalla psicanalisi in che cosa si avvicina e in che cosa si distanzia dalla concezione dell'anima e dell'uomo che emerge dalle Sacre Scritture?

RISPOSTA ALLA DOMANDA N° 2
Nella risposta precedente si è sottolineata la visione rigorosamente unitaria che dell’uomo ha la Bibbia. Le tre voci ebraiche basar, nephesh, ruach non indicano componenti, ma dimensioni dell’unica struttura dettaAdam (uomo). Potremmo esprimerci così: basar è l’uomo nella sua dimensione corporea; nephesh è l’uomo nella sua dimensione vitale; ruach l’elemento che lo rende un vivente abilitato a relazionarsi con la trascendenza. Si direbbe che l’elemento ruach si introduce come una sorta di terzo incomodo che impedisce di paragonare l’anima delle Scritture Sante con la psiche delle scienze psichiatriche. Del resto basar designa già un corpo o una carne vivente, dunque già coinvolto nei processi psichici e vitali. E’ necessario pertanto approfondire il significato delle tre voci in questione. BASAR: è il vocabolo che nella Bibbia ebraica (Antico Testamento) designa l’uomo in quanto corpo vivente. Mai è riferito ad un cadavere. In molti casi significa semplicemente uomo. In questi casi si ha una forte sottolineatura dell’uomo nella sua fisicità e visibilità. E nessuna di quelle che noi chiamiamo attività dello spirito può essere espressa senza nominare il corpo o qualche suo organo: cuore, reni. La visione che la Bibbia ha del basar non è negativa. L’uomo in quanto basar è fragile, limitato, fallibile, ma non necessariamente malvagio. La versione greca della Bibbia (Antico e Nuovo Testamento) rende l’ebraico basar con due voci distinte:sarx (carne) e soma (corpo) . Sarx in alcuni casi designa l’uomo in quanto oppositore della spirito di Dio. Il Soma può essere carnale, quando si oppone allo spirito di Dio; ma può essere anche spirituale, quando è vivificato dallo Spirito. Quando la Bibbia dice che Dio risusciterà il corpo, non si deve intendere che sarà ricomposto l’organismo umano con le sue funzioni, ma l’uomo intero tornerà a vivere. NEPHESH / PSICHE:. le due voci, rispettivamente nel testo ebraico e in quello greco, sono impropriamente tradotte in italiano e latino con il termine anima. Recentemente si è cominciato a tradurle più propriamente con il termine vita. Il senso fondamentale del termine in realtà è vita. Anzi la sua derivazione etimologica richiama la gola o ilcollo. E’ infatti in quel punto che il variare della respirazione segnala all’uomo quello che sta avvenendo nella sua vita fisica, ma soprattutto psichica ed emozionale. C’è un brano del libro dell’Esodo (23,9) molto illuminante in proposito "non opprimerai lo straniero: voi conoscete la vita (nephesh) dello straniero, perché foste stranieri in terra d’Egitto". Questa gola (nephesh) dello straniero è la sua angoscia, la sua oppressione, perfino la sua fame, che si radica nell’intimo, ma si avverte a livello fisico nella fatica del vivere, nel nodo alla gola che lo prende la mattina al risveglio. Analogamente possiamo pensare a espressioni come "respiro corto", per dire paura, o "respiro lungo" per dire coraggio, padronanza di sé. Quando il libro del Deuteronomio esorta: "amerai il Signore Dio tuo….con tutta l’anima (nephesh)…" intende dire che Dio deve essere la scelta di tutta la tua vita, del tuo respiro, del tuo pensare, dei tuoi sentimenti… Secondo questa antica concezione antropologica, con la morte l’uomo cessa di essere una realtà vivente. Privo della vita, egli scende nello sheol e sussiste come larva umbratile e spettrale, in quel luogo sotterraneo, caratterizzato dall’assenza di Dio, Signore della vita. Solo una maturazione successiva della rivelazione introdurrà la distinzione fra giusti ed empi; i primi saranno risuscitati da Dio per essere condotti nel "seno di Abramo", gli altri per essere gettati nella "morte seconda". Finalmente il cristianesimo chiarirà che la morte è addormentarsi nel Signore, per essere da Lui risvegliati nel suo Regno. RUACH / PNEUMA: le due voci esprimono la stessa realtà antropologica, la prima in ebraico la seconda in greco: la scintilla divina che fa dell’uomo una persona capace di rapporti. Questa concezione antropologica è espressa all’inizio del libro della Genesi (cap. 2) in forma poetica, per mezzo di un linguaggio immaginoso. "….Dio plasmò l’uomo con la polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un soffio vitale e l’uomo divenne un vivente". Questa immagine arcaica è ricca di significati molteplici e profondi. La polvere del suolo, materia prima con cui il suo corpo viene plasmato, fa riferimento innanzitutto al suo destino finale: il ritorno alla polvere dopo la sua morte. Di conseguenza alla sua dimensione di finitezza, di precarietà, di fallibilità. Il soffio vitale, deposto in lui dal creatore, fa riferimento alla sua vitalità legata a Dio, Signore della vita. Questo spirito vitale che è nell’uomo ha un legame con lo spirito di Dio (ruach ‘elohim) di cui parla ancora il libro della Genesi (cap.1), là dove dice che quando la terra era ancora una realtà caotica, informe e indifferenziata, "lo spirito di Dio avvolgeva l’abisso". E’ come dire che da una sorta di "uovo cosmico", primordiale, fecondato dallo spirito di Dio, emerse progressivamente il Kosmos. Uno scritto biblico più tardivo, il libro della Sapienza, amplierà il discorso, affermando che "lo spirito (pneuma) di Dio riempie l’universo", assicurando al tutto unità e senso. A causa di questa partecipazione allo stesso ruach / pneuma , l’uomo può vivere in armonia con se stesso e con il resto del creato. In conclusione si potrebbe dire che un confronto meglio che fra anima e psiche, si potrebbe stabilire fra la concezione che dell’uomo nel suo complesso ha la Bibbia e quella che hanno le varie correnti del pensiero psichiatrico o psicoanalitico. Ma, secondo la Bibbia, c’è un ulteriore elemento che caratterizza l’uomo e che può aiutare a completare la risposta: il cuore, talvolta in parallelismo con reni. Con i due termini la Bibbia sottolinea anzitutto che l’uomo è un essere bidimensionale e talvolta bifronte: alla sua faccia esterna immediatamente percepibile, si abbina il suo volto interiore, profondo e nascosto, il suo io intimo, che non sfugge allo sguardo di Dio, ma che il soggetto stesso percepisce solo in piccola misura. Esso è considerato la sede dei suoi sentimenti, dei suoi progetti, delle sue decisioni; si può riempire di gioia o di tristezza o anche di angoscia, ma anche di amore.

DOMANDA N°3
Secondo i principali indirizzi della psicoanalisi, il vero " centro "della personalità è l'inconscio, come a dire che l'essenza della personalità si situa per ciascuno di noi in una dimensione dello psichico misteriosa ed enigmatica, quasi per definizione. Anche nella concezione biblica l'anima è così inafferrabile e sfuggente e richiede, per un suo esprimersi ed evolversi una disponibilità all'ascolto interiore, un autoanalisi, la figura di guide spirituali, maestri, contesti iniziatici in qualche modo elitari o addirittura esoterici?

RISPOSTA ALLA DOMANDA N°3
La risposta a questa domanda deve necessariamente partire da un approfondimento dei due termini con cui concludevo la risposta alla domanda precedente: cuore e reni ci introdurranno ai temi della coscienza e dell’inconscio. Ovviamente non potremmo aspettarci che la Bibbia conosca la terminologia della psicologia analitica o le sue problematiche scientificamente articolate. Tuttavia essa sa che nell’uomo ci sono zone molto profonde che egli stesso non conosce, ma che pure hanno un influsso importante nella sua vita e che possono produrre anche molto male a sé ed agli altri. Il cuore e i reni. Ecco il "centro della personalità". Là l’uomo si identifica con sé stesso; là hanno sede le attività intellettive e volitive, le passioni e le pulsioni. Questa zona è molto profonda, vasta, insondabile. L’uomo sa che essa è là, ma sa anche che è difficilmente raggiungibile e controllabile. Solo Dio può conoscerla, perché "nulla è nascosto ai suoi occhi". Citavo sopra il salmo 64,7: "un baratro è l’uomo e il suo cuore un abisso". Abbiamo qui un’allusione forte alla consapevolezza che ciò che dell’uomo si vede, è molto meno di ciò che di lui non si riesce a percepire immediatamente. Il contesto rimanda ad uno sfondo molto negativo: un orante sta supplicando Dio di liberarlo dagli agguati e dai tranelli che gli tendono i nemici. I loro tranelli sono così abili e maligni, che - egli lo sa - possono avere origine solo in qualche zona misteriosa e malvagia dell’animo. Questo testo è vicino ad un altro del libro del profeta Geremia: "insondabile è il cuore dell’uomo, più di ogni altra cosa e difficilmente guaribile: nessuno riesce a conoscerlo" (Ger. 17,9). Altri testi biblici testimoniano la fondamentale certezza, che nessuno riesce a sondare le profondità dell’uomo, tranne Dio. Così l’autore del libro dell’Apocalisse sente parlare Dio: "Io sono Colui che scruta i reni ed il cuore" (Apocalisse 2,23). Si trovano espressioni simili anche in libri biblici molto più antichi: l’autore del primo libro dei re coglie sulla bocca di Salomone questa espressione: "Tu solo conosci il cuore degli uomini" (1 Re 8,39). Il primo libro di Samuele narra che quando questi andò a Betlemme, per ungere il giovane Davide re sul popolo del Signore, fu tanto colpito dalla statura imponente del primogenito, che già si preparava a consacrarlo. Ma Dio lo fermò e gli disse: non far caso alla sua statura imponente; "l’uomo guarda l’apparenza, ma Dio guarda il cuore" (1 Sam.. 16, 7). In maniera ancora più esplicita si esprime quel Saggio, i cui detti furono raccolti nel libro dei Proverbi: "Perfino gli inferi e l’abisso non riescono a nascondersi al Signore; quanto più gli uomini gli sono noti" (Pr. 15,11). Per entrare nelle profondità di sé stesso, l’uomo avrebbe bisogno della Sapienza; Ma l’ esperienza gli dice che essa è lontana da lui. "Ho deciso di essere saggio - scrive il disincantato Qohelet - ma vedo che la Sapienza è lontana da me. Ciò che fu è lontano, profondo, tanto profondo, che nessuno può raggiungerlo (Qo. 7,24). Tuttavia la Bibbia sostiene che, nonostante tutto, l’uomo è chiamato ad "andare oltre"; guidato da Dio egli può scendere oltre le soglie di una conoscenza di sé empirica e superficiale. Gli si indicano anche alcuni strumenti per farlo: l’ascolto e il ricordo. Il libro del Deuteronomio, che raccoglie testi molto interessati a richiamare l’uomo alla sua interiorità, contiene il termine ascolto e suoi derivati sia nominali che verbali 54 volte; e la radice ricord* con tutti i suoi derivati 17 volte. E’ un indizio dell’importanza che gli autori attribuiscono all’ascolto ed al ricordo, come via di accesso alle profondità di sé Citerò e commenterò brevemente un testo, che ritengo molto significativo in proposito. "Ricordati di tutto il cammino che il Signore tuo Dio ti ha fatto percorrere in questi quaranta anni, nel deserto,…per farti sapere quello che avevi nel cuore….Ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna, che tu non conoscevi e che i tuoi padri non avevano mai conosciuto; per farti capire che l’uomo non vive soltanto di pane, ma di quanto esce dalla bocca del Signore. Il vestito non ti si è logorato addosso e il tuo piede non si è gonfiato in questi quaranta anni. Riconosci dunque in cuor tuo che come un uomo istruisce suo figlio, così il Signore tuo Dio istruisce te". Il senso di questo testo è ancorato ad alcune parole-chiave: cuore, ricordati, cammino, istruisce. Il termine cammino fa riferimento al periodo di quaranta anni, trascorso dal popolo fra la liberazione dalla schiavitù agli egiziani, ed il momento presente, nel quale Mosè gli sta parlando, mentre si prepara ad entrare nella terra promessa. Quei lunghi anni trascorsi vagando per le steppe della penisola sinaitica hanno avuto un senso: far scoprire loro "che cosa avevano nel cuore"; vale a dire: perché imparassero a conoscere sé stessi. Chi erano essi nel profondo, realmente, al di là delle apparenze? Solo un confronto serio con la storia poteva loro rivelarlo. Il modo di rispondere agli eventi, che gli si fanno progressivamente incontro, rivela le reali attitudini che ciascuno si porta dentro. Ma è necessario imparare a "leggere" all’interno degli avvenimenti ed a scoprire il rapporto fra sé e gli avvenimenti stessi. Per questo si deve ricordare. La Bibbia sa che senza la memoria degli avvenimenti accaduti e di come ciascuno vi si è relazionato, non si dà maturità umana o conoscenza di sé stessi. Non tutti però sono in grado compiere questa operazione di introspezione di sé nel fluire della storia. Mosè, la guida di questo gruppo etnico, che sta maturando come popolo, ricevette da Dio questo compito: iniziare i figli di Israele a questo tipo di comprensione. I testi sacri lo chiamano profeta. Nel mondo biblico infatti il profeta non è tanto colui che predice il futuro, quanto piuttosto l’uomo illuminato da Dio e incaricato di dare al popolo delle "chiavi di lettura" della storia. Più tardi sorgeranno altri profeti, che continueranno l’opera di Mosè. Parallelamente sorsero anche dei saggi, che fonderanno vere scuole di pensiero, dove si imparerà a scoprire che la storia ha un senso e che solo la sua intelligenza permetterà di comprendere sé stessi e l’opera di Dio. A partire da queste considerazioni si può comprendere anche il valore del termine istruire. Quando Israele uscì dall’Egitto, non era ancora un popolo, ma solo un gruppo etnico di ex schiavi, che doveva imparare la libertà; esperienza elementare, ma molto profonda e difficile da raggiungere. Solo un percorso educativo, paziente e saggio, intessuto di concretezza storica, può condurre in quella regione dello spirito, dove la libertà può essere incontrata. Quanto al "contesto …elitario" cui fa riferimento la domanda, mi pare di poter dire che la Bibbia preferisca riferirsi a "contesti popolari". Il testo del libro del Deuteronomio, citato poco fa, ha presente "il popolo dei figli di Israele". E il popolo è in genere l’interlocutore anche dei profeti. Alcune volte, è vero, questi si rivolgono al re. Ma il re è considerato colui che "riassume" in qualche modo tutto il popolo. Bisogna proprio dire che nell’esperienza di Israele, come poi in quella della chiesa, soggetto del cammino è la collettività. Sicuramente ci sono dei "singoli" che vengono posti di fronte alla propria storia, invitati all’ascolto e sospinti nel cammino: figure storiche come Abramo o Mosè; profeti come Amos o Geremia; personaggi simbolici come Giobbe o Giona. Ma a guardar bene la loro esperienza è sempre in funzione della collettività. Alcuni di loro sono "condotti" da Dio, che li va formando al loro compito di leaders; altri sono presentati come personaggi-simbolo, sui quali la Bibbia vede riflessa l’esperienza storica del popolo. L’accenno della domanda ai "contesti iniziatici" mi fa pensare ad un testo del libro di Isaia al cap. 50, dove compare un termine che spesso viene tradotto iniziato. Lo trascrivo. "Il Signore mi ha dato una lingua da iniziati, perché io sappia indirizzare allo sfiduciato una parola di sollievo. Ogni mattina egli fa attento il mio orecchio, perché io sappia ascoltare come gli iniziati". "Lingua da iniziati…orecchio da iniziati" sono in funzione della "sfiduciato", cui è importante indirizzare una "parola di sollievo". Come si vede, tutto è pensato in una catena di rapporti. La salute integrale del singolo, - in nome della quale operano le moderne scienze del profondo – non si realizzerà fino a quando l’uomo non riuscirà ad espandersi in una ricchezza di relazioni. La Bibbia sa che i veri problemi dell’uomo hanno radici molto profonde, "nel suo cuore", originati dal suo vissuto storico, traumi, complessi…e che questo ha "ferito" l’uomo nel profondo; essa attesta anche che la sua guarigione sarà come il "rimarginarsi della sua ferita". Secondo un altro testo di Isaia (cap. 58,7-8), la guarigione avverrà quando egli entrerà in una relazione coinvolgente ed impegnativa con l’altro. "…dividere il pane con l’affamato, introdurre in casa i miseri senza tetto, vestire uno che vedi andare nudo…allora la tua ferita si rimarginerà presto".